La liberalizzazione del mercato elettrico offriva la possibilità di trasformare inelettricità e calore, mediante centrali turbogas ad alto rendimento, il gas importato in Italia dal Nord Africa che eccedeva la domanda. Per realizzare le centrali servivano però alleanze sul territorio che facilitassero l’ottenimento delle autorizzazioni in cambio di ricadute per l’economia locale.

Fu così che l’ingegner D. di ETA, una società ex municipalizzata del Nord Italia, mi chiamò per chiedermi assistenza nel negoziato che doveva portare ETA ad acquistare
una partecipazione finanziaria e industriale in un progetto con queste caratteristiche. L’ingresso della società pubblica nel progetto faceva parte delle compensazioni ambientali concordate tra il Promotore e le Autorità locali.
Il progetto, era promosso da una società di scopo facente capo a un grande gruppo industriale, prevedeva la costruzione e gestione di una centrale termoelettrica a ciclo combinato da 800 MW, alimentata a gas e dotata di una stazione di scambio per la cessione di calore per teleriscaldamento.

L’investimento era ingente ed era chiaro che per ETA l’ingresso nel progetto, fonte al contempo di ansie e di speranze, sarebbe stato possibile soltanto laddove questo fosse stato in grado di ripagare il debito contratto per finanziarlo, assicurare una buona redditività e garantire un’opzione di uscita nel caso di esito negativo.

Il problema nasceva dal fatto che un progetto di tali dimensioni e complessità ETA non l’aveva mai visto! Non sapeva quindi da dove incominciare nell’affrontarlo e nutriva inoltre un forte timore reverenziale nei confronti del Promotore. Quest’ultimo aveva presentato un Business Plan molto sintetico, allegato a una lettera che rammentava ultimativamente la scadenza per l’esercizio dell’opzione di ingresso nel progetto.

Non era stato convocato un tavolo negoziale ma esisteva solo una proposta molto sintetica da accettare o rifiutare ai sensi degli accordi sottoscritti.

Si trattava insomma di un classico caso di “prendere o lasciare”. Che fare allora? In primo luogo occorreva mettere insieme tutte le informazioni disponibili, valutare la congruità del valore dell’investimento eseguito e costruire un piano industriale dettagliato riguardante il progetto e le sue ricadute sul conto economico e sulla situazione patrimoniale di ETA.

Bisognava innanzitutto stabilire se e in quale misura ETA avrebbe potuto fare fronte agli impegni conseguenti al proprio ingresso.
Vi era poi da capire, immaginando uno scenario in cui la proposta non si fosse rivelata vantaggiosa per ETA, quali potessero essere i margini per negoziare condizioni più favorevoli.

Fu subito chiaro che il progetto era solido e che ETA avrebbe potuto trarne vantaggio, ma solo a fronte di un accordo ben strutturato.

La scadenza contrattuale per l’esercizio dell’opzione era però vicina e una proroga da sola non sarebbe bastata. La proroga veniva infatti concessa solo a fronte di un impegno fermo a dare una risposta definitiva.
Fu così che cominciai a raccogliere tutte le informazioni disponibili sul progetto per trovare un eventuale punto debole, un appiglio.

La fortuna fu dalla mia parte. A una nostra incaricata fu infatti consentito l’accesso alla documentazione riguardante l’autorizzazione del progetto disponibile presso gli uffici della Regione.
L’esame delle carte indicava che, per la definitiva autorizzazione alla messa in marcia della centrale, sarebbe stato necessario un provvedimento finale del Comune che l’ospitava.

Essendo proprio il Comune il principale socio di ETA, chiedemmo così all’ingegner D. di inviare al Promotore una circostanziata lettera di richiesta di un tavolo negoziale in cui discutere i punti qualificanti dell’accordo e di predisporre, da quel momento in poi, un rigoroso blackout nelle comunicazioni tra il Promotore ed il Comune.

La mossa non tardò a produrre i suoi effetti tanto che, di lì a pochi giorni, il Promotore si rese disponibile per il negoziato.
Palesando il nostro disappunto per un atteggiamento così poco collaborativo, presentammo quindi un pacchetto di ragionevoli proposte volte alla finalizzazione degli accordi necessari all’ingresso di ETA nel progetto.

In base a questo protocollo ETA acquistava una partecipazione finanziaria di minoranza nella società di scopo riconoscendo un equo valore di avviamento. Sottoscriveva inoltre un patto parasociale che prevedeva la distribuzione di dividendi a sostegno del debito contratto per l’acquisto delle quote, oltre a un’opzione per la sua uscita a un valore predeterminato.

Si vedeva inoltre riconosciuto il diritto ad acquistare dalla società di scopo una corrispondente quota di produzione di energia elettrica, vendibile attraverso il Promotore, direttamente in borsa o a propri clienti, e il diritto ad acquistare energia termica ad un prezzo agevolato predeterminato.

Il protocollo d’intesa venne sottoscritto rapidamente e successivamente venne avviato anche il negoziato per la formalizzazione degli accordi applicativi, resi piuttosto complessi dalla formulazione dei meccanismi di revisione dei prezzi di trasferimento dell’energia.

Per ETA si apriva così una nuova stagione di sviluppo, con il supporto di un Promotore forte e affidabile, che la metteva nelle condizioni di offrire energia e nuovi servizi ai clienti del proprio territorio.

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