Il dottor P., presidente di Nexia, un’importante multi-utility del Nord Italia, irruppe nella sala consiglio, armato di un sorriso smagliante. Guardando con soddisfazione i presenti aprì la cartella e mostrò loro una fotografia in grande formato esclamando: “C’è gas!”.

Nell’immagine si vedeva un’altissima e vigorosa fiamma che si protendeva verso il cielo sopra un campo di perforazione nel bel mezzo di una piana verde. Il vigore della fiamma indicava una forte pressione nel giacimento e quindi una riserva importante di gas naturale.

Tutto era cominciato un paio di anni prima.
Bisogna sapere che l’attività mineraria richiede concessioni e fondi per finanziare le proprie attività di esplorazione.

Grosvenor, un’azienda anglo-canadese specializzata nella raccolta di fondi e nell’esplorazione petrolifera, aveva acquistato a buon prezzo i diritti per l’esplorazione concessi ai migliori offerenti dal Ministero dell’Industria in alcune aree della Pianura Padana sfruttate in passato dal concessionario uscente.
Grosvenor, che cercava un partner italiano temendo potenziali complicazioni autorizzative e operative nel nostro paese, strinse un accordo con Pragas, una società costituita per curare gli interessi di alcune multi-utility pubbliche, guidate da Nexia, nell’approvvigionamento di gas metano.

L’accordo prevedeva, da parte di Pragas, il concorso all’investimento e il supporto logistico in cambio di una significativa quota della futura produzione del giacimento.
Era davvero difficile descrivere la felicità del dottor P. che, a fronte di un investimento molto contenuto, poteva sperare di realizzare una grande e insperata plusvalenza.
Il pomeriggio era ormai finito e nella Sala Consiglio stavamo discutendo la strategia negoziale di un altro progetto importante per il futuro di Nexia. L’entusiasmo del Presidente però contagiò tutti: “Forse è la volta buona per fare il salto” disse qualcuno.
Qualcun altro chiese invece maggiori ragguagli ma tutto pareva presentarsi nel modo migliore. Ormai non c’era più tempo per discutere, ci saremmo aggiornati per il giorno successivo.

Di quel giacimento di gas però non sentii più parlare per qualche anno, finché un giorno l’ingegner B., direttore generale di Nexia, mi chiamò per raccontarmi come si era evoluta la situazione.

Le attività di esplorazione erano proseguite ed era stata presentata al Ministero la richiesta di autorizzazione per la costruzione degli impianti e lo sfruttamento del giacimento.
L’iter autorizzativo si era concluso favorevolmente, con l’invito del Ministero a negoziare un accordo con il concessionario uscente, titolare dei campi adiacenti, per lo sfruttamento di quello che si era rivelato essere un unico e più grande giacimento.

Il negoziato era quindi stato avviato e l’accordo per l’unificazione del giacimento, che doveva stabilire le rispettive quote di proprietà del gas estraibile, era ormai vicino alla conclusione.

Il vero problema però ora era diventato un altro: Grosvenor aveva esaurito la propria provvista di capitali ed era sull’orlo del fallimento.

Alcune banche inglesi, che avevano finanziato Grosvenor per acquistare e sviluppare un giacimento nel Mare del Nord che richiedeva un impegno ben maggiore rispetto a quello italiano, erano da poco intervenute riscattando il pegno sulle azioni e imponendo al management una sorta di commissariamento.
Per questo Grosvenor non era più in grado di portare avanti il progetto nella Pianura Padana e i soci di Pragas avevano un diavolo per capello.

Nell’ultimo Consiglio di Amministrazione si era discusso anche dell’opportunità di avviare un’azione legale finalizzata a ottenere soddisfazione da Grosvenor rispetto al legittimo diritto di Pragas di sfruttare il giacimento. Questa azione avrebbe messo gli amministratori al riparo da potenziali responsabilità ma avrebbe inferto un colpo mortale alla già traballante Grosvenor, aprendo di fatto la strada a un fallimento dagli esiti molto incerti.
L’ingegner B. voleva quindi cercare una strada diversa prima di gettare la spugna con gli amministratori e avviare la dirompente azione legale.
Proponemmo allora di chiedere del tempo al Consiglio di Amministrazione per cercare una soluzione al problema, tempo che, fortunatamente, venne accordato.
Bisognava per prima cosa capire bene quale fosse la situazione reale prima di avviare contatti con Grosvenor.

Fortunatamente la società, essendo quotata, aveva pubblicato informazioni sullo stato dei progetti e dell’impiego dei fondi a vantaggio dei propri azionisti.
Ricostruendo la complessa storia della nascita e dello sviluppo di Grosvenor, passata attraverso varie campagne di raccolta di capitali, processi di fusione, sviluppo di progetti e cambio di management, riuscimmo a modellare la situazione finanziaria e il conto economico risultante dalla sommatoria delle aspettative di sfruttamento delle concessioni.
Era quello che serviva per incontrarli.

L’analisi ci diceva, fra l’altro, che, agli occhi degli analisti, a fare stare in piedi Grosvenor erano proprio le aspettative sulla concessione italiana ormai quasi pronta allo sfruttamento.

Nel primo incontro che tenemmo a Londra, forti della solida conoscenza della situazione e del nervosismo serpeggiante nel nostro Consiglio di Amministrazione, prospettammo a Grosvenor due alternative.
La prima era l’azione legale che avrebbe soddisfatto i nostri amministratori e distrutto Grosvenor e il suo attuale management.
La seconda consisteva nell’uscita anticipata di Pragas dal progetto di estrazione a fronte del riconoscimento del suo valore.
La seconda proposta piacque subito a Mr. S. il CEO di Grosvenor che aveva in realtà margini di manovra ridottissimi.

Bisognava però trovare il modo di finanziare il riacquisto perché Grosvenor non aveva più denaro e non aveva la possibilità di chiederne altro al sistema bancario.

Eravamo ben consapevoli della necessità di fare presto e anche del fatto che il riacquisto da parte di Grosvenor dei diritti di estrazione, a condizioni certe e vantaggiose, sarebbe piaciuto alle banche che non gradivano alcune clausole del contratto con Pragas e volevano rientrare dall’esposizione.
E fu così che avviammo il negoziato con Grosvenor.

Una perizia trasparente e condivisa sul valore degli interessi di Pragas nel giacimento fu alla base dell’accordo: Grosvenor riacquistava tutti gli interessi con effetto immediato a fronte dell’emissione di una cambiale fruttifera.
Non fu facile convincere gli azionisti di di Pragas a ratificare l’accordo, anche se ciascuno di loro era verosimilmente consapevole della scarsa utilità dell’azione legale alternativa.

L’accordo faceva certamente guadagnare tempo a Grosvenor fornendole argomenti e prospettive da presentare alle banche ma, dall’altro lato, Pragas aveva messo Grosvenor nelle condizioni di onorare gli impegni laddove si fosse trovato un acquirente per la concessione.
Per un po’ di tempo fu solo l’incasso degli ingenti interessi sulla cambiale a tenere buoni i nostri consiglieri poi, finalmente, avvenne la svolta: un acquirente si fece vivo con Grosvenor e la fortuna volle che fosse un grande operatore italiano, a me ben noto, a cui fu facile illustrare la situazione in tutta la sua complessità.

Questo operatore era interessato a sviluppare una presenza nel settore upstream del gas naturale e il nostro progetto rappresentava una buona opportunità: era già pronto ed era in Italia!
In breve tempo riuscimmo a mettere intorno al tavolo l’acquirente, Grosvenor e Pragas per finalizzare l’accordo di cessione che le banche avevano naturalmente benedetto di buon grado. I bonifici che lo perfezionavano giunsero senza intoppi.

A conti fatti l’operazione aveva fruttato per Pragas più di venti milioni di euro di plusvalenza, oltre agli interessi maturati e incassati.
Festeggiammo quindi con piacere il successo in un famoso ristorante sulle rive del Po, proprio nel centro della pianura che custodiva il prezioso giacimento.

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